mercoledì 21 ottobre 2015

A Volte Ritornano



Dialogo con un ragazzo appena conosciuto.




GIACOMO: “un caffè per favore”

RAGAZZO: “Per me una pepsi senza”

G: “una pepsi a quest’ora?”

R: “Sono in piedi da ore… ho perso la cognizione del tempo.”

G: “che cosa fai qui?”

R: “Aspetto una persona, tu?”

G: “Sono ritornato qui anche se avevo chiuso con questo posto, sono qui, ma non sono qui, quella che senti non è la mia voce, è l’eco di un suono che c’era un tempo. Non so se mi capisci…”

R: “Stai parlando di un paradosso?!”

G: “Una cosa del genere. Un salto nel tempo diciamo”

R: “Ne so qualcosa, ci sono passato”

G: “Hai qualche consiglio?”

R: “Credo che saltare nel tempo non sia mai una cosa buona, nessuno dovrebbe mai conoscere troppo del proprio futuro”.

G: “Vero, e forse dovrebbe anche dimenticarsi qualcosa del proprio passato. Questo blog sembra una macchina del tempo, a rileggerlo sembra impossibile che oggi le automobili riescano a volare...”

R: “lo so, è pesante...”

G: “Se avessi un figlio non glielo farei mai leggere”

R: “In effetti queste parole e questi post suonerebbero un po’ vecchi dalle sue parti, ma le mode sono cicliche, ritornano, anche loro, probabile che invece ai suoi figli piaceranno.”

G: “Ho imparato che non si può vivere nel passato, l’ho capito un giorno mentre guidavo. Poi un colpo di fulmine mi ha riportato nel presente, da allora però l’ossessione del futuro è diventata sempre più forte.”

R: “Credo di sapere di cosa parli, a volte le 88 miglia orarie si passano senza nemmeno accorgersi…”

G: “In che senso scusa?”

R: “Nel senso che quando ci si trova catapultati nel futuro troppo velocemente il mondo che ci circonda non è mai tenero.”

G: “I cambiamenti radicali a volte annientano, il futuro ti stordisce se troppo repentino”

R: “e ti senti come su uno skateboard volante in mezzo al deserto…”

G: “cosa??”

R: “Volevo dire ti senti solo come in mezzo al deserto...”

G: “E allora qual è la soluzione?”

R: “Rimanere nel presente, non ritornare indietro, e non andare troppo veloce, è semplice”

G: “Ma così il passato si cancella…”

R: “le fotografie che possiedi non si possono cancellare per fortuna, forse nemmeno i vecchi post. Il passato non si dimentica, basta non volerlo modificare.”

G: “Il futuro invece è sempre pronto a stordirci e a farci sentire persi…”

R: “Si ma non credere che il futuro sia già scritto, nel momento in cui fai una scelta le scritte si cancellano e tutti i fogli tornano ad essere bianchi.” 

G: “ti esprimi in modo strano lo sai?”

R: “il dottore sei tu…” 

G: “Mi hai convinto comunque, ragazzo del futuro, ma c’è solo una cosa che non torna in tutto quello che dici, se davvero il passato non si modifica e il futuro non è scritto, com’è possibile che tu sia qui?!”

R: “E' facile, succede delle volte, inspiegabili, che alcune cose, le più belle, così come certe persone, vere o immaginarie, a volte semplicemente ritornano, chi solo per un attimo, chi da un lungo viaggio prima del previsto, o chi da un'altra dimensione, lasciandoci sorpresi ed increduli. Rapiti.
Si ritorna, a volte, al futuro, quello giusto, quello bello, dove le automobili volano e i vestiti si asciugano da soli, e dove i vecchi blog dimenticati, per un giorno, tornano di nuovo a fare parte di questo presente.
Così, senza un vero e proprio perché…“




venerdì 6 febbraio 2015

Titoli di coda





 Cari lettori,
il fatto che stiate perdendo dei minuti della vostra vita per leggere gli ultimi rantoli di questo stanco blog mi riempie il cuore di gioia.
Le stagioni chiudono qui, semplicemente, di punto in bianco, esattamente come sono arrivate, il 6 febbraio 2013, due anni fa.
Ricordo che era uno dei pomeriggi tipici di quel periodo, annegato nella noia e nell'inibizione più totale. 
Avevo da sempre avuto il desiderio di scrivere, ma ancora più forte, sentivo il desiderio di incanalare alcune turbolenze della mia vita in qualcosa, di usare quel l'energia negativa, rimodellarla e usarla per far uscire qualcosa che avesse un'altra forma, anche se non avevo idea di cosa sarebbe venuto fuori. 
Ero abituato a rimandare tutto quanto senza riuscire più a prender una decisione.
Scrissi il primo post in venti minuti, in altri dieci composi il template di blogger e creai il blog. Poi lo pubblicai su facebook, iniziando così a dare in pasto una nuova parte di me a chiunque avesse cliccato su quello strano link intitolato: le stagioni del lago. 
Uscì a camminare, passarono dieci minuti e mi scrissero in cinque persone.
Capii immediatamente che nel buio in cui mi trovavo in quel periodo ero riuscito non so come a trovare un sentiero da seguire per venirne fuori, e che se l'avessi seguito con costanza e fiducia, prima o poi la fine sarebbe arrivata. Una botta di culo.
Credo che sia arrivato al capolinea di quel sentiero. Il buio si è dissolto e davanti a me ci sono atre strade che chiamano a gran voce per essere intraprese.
 E per intraprenderle, per imboccarle, quasi per una logica conseguenza è necessario abbandonare il sentiero vecchio, è necessario voltare pagina, o in questo caso cliccare sul mouse e cambiare sito web.
 Non sempre è stato facile trovare cosa scrivere, e non sempre il luogo per liberare certe suggestioni è stato quello giusto. Le stagioni del lago sono state un esperimento, sono state un viaggio verso l’ignoto. Sono state un luogo dove andare nei momenti più difficili ad imprimere qualcosa che non volevo venisse dimenticato, ma non da voi che mi leggete, più che altro da me stesso.
 Di cose da dire non ne ho più, o forse, per meglio dire, ne ho davvero troppe ma nessuna che vada più bene qui.
E’ come quando si torna dopo un lungo viaggio, l’eterna malinconia per la fine, e la smisurata eccitazione per l’inizio che ne seguirà. Perché ne seguiranno molti di nuovi inizi, questo è certo.

Chi si aspettava qualche rivelazione rimarrà deluso, ma come sapete, questo blog non ha mai insegnato nulla ne ha mai fatto letteratura. A volte é banale e tremendamente nazionalpopolare, non sempre è scritto bene, ci sono un sacco di errori, forse si contraddice talvolta. È l'esatto corrispettivo di chi lo scrive e racconta dei suoi tentativi quotidiani di capirci qualcosa, ma può anche essere che in fondo quel ragazzo non abbia mai capito un cazzo. 
Però una cosa questo blog ha avuto il merito, alcune volte, di ricordarmela.
E cioè che la vita non é altro che un gioco meraviglioso, ed ogni stagione ha il merito di essere bella per qualcosa, perchè non puoi mai sapere quanto a lungo durerà la nebbia sul lago, ma quello che è sicuro é che in un modo o nell'altro prima o poi il sole torna a splendere sempre.
Perché la felicità non è che una scelta che ogni giorno inconsapevolmente si continua a fare, ancora e ancora, e per fare questo bisogna riuscire sempre a stupirci di tutte quelle piccole ed insignificanti cose di cui siamo circondati.
Come di tutte queste stagioni che viviamo, che arrivano, passano, stanno via per un po’, ma poi ritornano sempre. Perché non temete, le cose belle tornano, magari vestite diverse, magari cambiando nome, o sito web, ma in un modo o nell’altro, un giorno poi, ritornano a casa. 

G




mercoledì 14 gennaio 2015

Fuori programma





Mi beccate in un ormai insolito momento di confessioni, in un attimo di pausa tra gli esami da fare e gli esami di coscienza. Anche se per una volta non ho voglia di bilanci ne di elenchi in cui provo a ricordarmi tutte quelle cose che siamo portati a riconoscere come “fatti importanti”. Sarebbe estremamente triste, povero e limitante. E di notte è vietato essere tristi e limitanti, poveri invece, delle volte è concesso.
E non starò nemmeno qui a sorseggiare con voi ricordi di cui alcuni che stanno leggendo sono stati imprescindibili protagonisti.  Mi va di scrivere e basta.
Compio 25 anni con poche certezze e un sacco pieno di desideri, che quelli poi sono l’unica cosa che ti tengono in vita. Le certezze sono poche, come dicevo, ma ben radicate: l’inter mi farà soffrire finchè campo, le donne a capirle proprio non ci riesco, una canzone di Springsteen e qualche amico sono in grado di far guarire qualsiasi malattia, soprattutto quelle cardiache. E forse questa è la cosa migliore che ho imparato in un quarto di secolo, a provare a curarle le malattie cardiache. Innamorarmi è stata l’esperienza più intensa e dolorosa che abbia mai fatto, e la consiglierei a chiunque mi chiedesse se ne vale la pena. Vale sempre la pena. Ed il dolore arriva con qualsiasi privazione, non solo con quelle amorose, l’ho scoperto a fine luglio, e non si è mai abbastanza pronti. Mi costa parecchio oggi compiere 25 anni, un caro amico mi ha detto che da qui in poi non si avrà più voglia di festeggiare un cazzo. Le cifre tonde sono sempre un poco stronze in effetti, e se le star muoiono a 27 anni un motivo ci deve pur essere. Se fossi un pessimista direi che da qui in avanti iniziano le rotture di coglioni, le scelte da fare, a cui subito dopo si sommeranno tutte le rinunce che la vita porta a fare. Nient’altro. Però le scelte una cosa bella ce l’hanno, cioè che sono sempre giuste, perché mica puoi sapere cosa sarebbe successo altrimenti. in fondo pessimista non lo sono mai stato. Di propositi non me ne voglio più fare, che non servono mai ad un cazzo se non a sentirsi inadeguato da qui ad un mese. L’unico forse è quello di seguire di più l’istinto, che non mente mai, anche se delle volte ti porta a sguazzare nelle fogne che fino a quel momento hai evitato con cura meticolosa. Ma l’istinto spesso ti imprigiona anche in un vortice in cui non è possibile uscire, fatto solo delle cose di cui abbiamo bisogno. E’ come se ci spinga quando non abbiamo più il coraggio di volerci bene. Come quando strappa i tendini per far sgorgare fuori le parole che ti usano per uscire da chissà dove. O ti fa prendere una macchina fino ad una spiaggia in cui ti senti lontano da casa, a vedere l’orizzonte che cerchi, perché mica sono tutti uguali gli orizzonti. O ti fa fare un tatuaggio con la copertina di un album che nemmeno ami. O ti fa stare tutta la notte a fare l’amore rinunciando a tutte le mattine che ti restano pur di non farla finire.
Mi regalo questo post, scritto esattamente il tempo della sigaretta che mi sono acceso e che ora è finita. Ed ora che è spenta me ne starò qui a disegnare meravigliosi futuri con la cenere, la sua, e di questo primo quarto di secolo che si è bruciato via in modo così bello ed intenso.
Un caro saluto.


sabato 3 gennaio 2015

Greatest Hits non richieste (Circa 12 album per sicuri 12 mesi)




Ed eccovi le imperdibili greatest hits non richieste e poco autorevoli di questo blog, immancabili per iniziare l’anno nuovo con il ritmo giusto in attesa dei primi album di un 2015 che si prospetta ricco di sorprese. Quest’anno sono riuscito a parlare solo di 15 album mostrando una capacità di sintesi incredibile per me come sa bene chi mi conosce. Mi è costato parecchio tagliare certi album e certi artisti, ma sinceramente è giusto così.. spero di non aver dimenticato nessuno, cosa che avrò certamente fatto. Prendetene ed ascoltatene tutti. Buon 2015.

GEN. THE ZEN CIRCUS – “Canzoni contro la natura”
            Sarò breve perché chi ha letto nell’ultimo anno questo blog ne avrà pieni i coglioni di leggere lodi sul circo Zen. Dirò solo un paio di cose. Non è stato l’album migliore degli Zen, questo mi sento di dirlo, ma non è questo la cosa importante. Quello che conta è che ormi loro ci sono sempre, quello che conta è che ormai sfornano solo materiale di qualità, e forse, dico io, non sono già arrivati al limite di quello che possono fare, forse stanno cercando ancora un po’ dove possono arrivare, un po’ come tutti noi che li ascoltiamo, e quest’anno ho imparato che quando la strada è quella giusta, ciò che sta in mezzo è quasi più importante di dove si arriva. Concerti spaziali. Viva canzone della tana per eccellenza, non potevano proprio mancare.

FEB.  THE WAR ON DRUGS – “Lost in dream”
            Lost in dream non è un disco ma, innanzitutto, come si intuisce dal titolo, un viaggio interiore, un viaggio nel sogno. I TWOD si fanno carico di progettare e costruire il sogno nel quale perderci durante il suo ascolto, o meglio, forse non è nemmeno così. Ci forniscono gli strumenti, sta a chi ascolta costruire il suo sogno plasmandolo in base alla propria anima. Fatto sta che se ascoltato con gli occhi chiusi, sdraiati, ci si trova istantaneamente in un mondo parallelo che va infinitamente più piano del nostro, connesso da sensazioni empiriche che nascono da sole senza una ragione logica. Esattamente come in un sogno. 
E’ stato l’album giusto dove fuggire in quel febbraio così carico di imprevisti.

MAR.            BE FOREST – “Earthbeat” / GOUTON ROUGE – “Carne” / TWO FINGERZ – “V”
            Aprirei la rubbrica “nessuno se li fila”. A pari merito nomino tre realtà italiane davvero interessanti, se pur di tre generi molto diversi. Be forest, chiamati a ripetersi dopo "Cold", a dipingere i consueti spazi aperti, colmi di sensazioni e colori. Eccezionali ed onirici. I Gouton rouge, travolgenti, oscuri e viscerali, anche se non molto orecchiabili (la voce forse si sente troppo poco, anche nei live), otto canzoni che al primo ascolto non vi piaceranno, ma se vi concederete una seconda e poi una terza occasione vi trasporteranno senza che abbiate il tempo di allacciarvi le cinture.
Capitolo a parte i Two Fingerz. Album rap dell’anno, vince ai punti contro Orchidee di Ghemon e Museica di Caparezza, in un anno in cui, tra gli altri, sono usciti anche i nuovi ,secondo me apprezzabilissimi, lavori di Ensi e Fedez. Proprio Fedez collabora con i Two Fingerz in un brano dell’album, a dimostrazione della loro caratura. Loro, che tipicamente compaiono ad impreziosire gli album del vero genio del rap italiano (Dargen), compongono un album davvero gradevole ed importante, confermandosi una solida realtà del genere. Nell’attesa del 2015 in cui potremo ascoltare le nuove fatiche di Dargen e Marra, godiamoci questo inno alla leggerezza che è “V”.

APR. THE MENZINGERS – “Rented world”
               Già, forse non è che ci stanno proprio in una top12 del 2014, lo ammetto, ma le mie scelte sono sempre molto opinabili. Dico un pro e un contro. Il pro è sicuramente il fatto che producono musica adolescenziale allegra e divertente, e per i nostalgici come me di gruppetti tipo Blink e i primi Green Day non può non piacere ogni tanto avere a che fare con i Menzingers. E’ il classico gruppo da party a casa di un amico con tanto di sveglia al mattino alle 11 sul suo divano senza ricordarti nulla delle 10 ore precedenti. Il contro è ovviamente che è musica con un’età e diversi limiti, e loro sembra proprio che più di così non possano fare. Certo, ad aprile mentre li ascoltavo pensando già all’estate vi avrei detto: “dici poco”. 

MAG.            LO STATO SOCIALE – “L’Italia peggiore”
                Nativi di Bologna, la prima volta che li ascoltai a dovere fu proprio nella loro terra, subito dopo il concerto degli Zen. Devi sentirli, mi dissero, e non riuscirai più a farne a meno. Qualche mese dopo il loro concerto in un alcatraz pieno di gente. In mezzo mille visualizzazioni su spotify e tonnellate di like alle loro frasi sparse senza senso sui social network. Perché molte volte la sensazione che i loro testi siano solo frasi senza senso a condire ritmi ballabili frutto di un mix tra elettronica e indie la gente ce l’ha. Solo dopo un’attenta analisi ci si rende conto che in realtà, all’interno dei loro testi, qualcosa, anche di piuttosto forte c’è. Del resto io penso che per dire una cosa, al giorno d’oggi, non puoi più dirla, ma devi dire altro, e fare in modo che si capisca quello che in realtà vuoi dire. E loro questo lo sanno fare, parlano a slogan, a frasi fatte, giocano con le parole, come fanno alcuni rapper. Il risultato a mio modesto parere non è affatto male, poi ai posteri largo a sentenza, nel senso che tra qualche anno vedremo se Lo Stato Sociale diventerà un gruppo in grado di fare del buon cantautorato di qualità, o se L’Italia Peggiore e Turisti della democrazia saranno stati soltanto un bel gioco. Considerato che la musica non è una cosa seria, forse, alla fine, gli auguro di continuare a giocare.

GIU.  LINKIN PARK – “The hunting party”
            Devo dire la verità, sono di parte. Io i Linkin Park li adoro a prescindere. Non so spiegare bene il motivo a dire il vero, considerato anche che i miei due loro album preferiti sono quelli che i veri fan dei LInkin Park detestano, e cioè: Livin things e Minutes to midnight. Sarà forse perché in concerto sono degli animali in grado di reggere ore a ritmi altissimi. Sarà perché da anni ormai tracciano le linee guida del rock più mainstream che ci sia, indicando la rotta come una cometa, e non è un caso che questo album guardi indietro a Meteora e i primi Linkin. Sarà anche perché loro, nel bene o nel male, uniscono tutti i puntini della mia evoluzione musicale, rimanendo come delle pietre in un torrente su cui saltare tra un nuovo amore musicale e l’altro.

LUG. COLDPLAY – “Ghost stories”
            Per Santiago, sono partito un giorno prima dei miei compagni. Il volo Milano Maplensa – La coruna sarebbe durato 10 interminabili ore, con un significativo tempo di scalo a Lisbona. Non avevo bagaglio a mano, imbarcai lo zaino pregando il cielo che arrivasse fino a destinazione. Poi mi sedetti in aeroporto, a guardare la gente transitare dalle vacanze alla realtà e viceversa. Ho pensato di salire su ognuna delle destinazioni che chiamavano ad intervalli regolari prima del mio volo: Barcellona, Gran Canaria, Bordeaux, Berlino, Copenaghen ecc. L’aereo da Lisbona a La coruna era poco più che un idrovolante, eravamo in dieci. La cosa bella era che volava molto basso, tanto che dal finestrino si vedeva nitidamente la drittissima costa del portogallo mentre correvamo verso nord. Ad un certo punto il sole tramontò, sull’oceano, illuminando di rosso l’interno dell’abitacolo. Ghost Stories era la sola cosa che riuscivo ad ascoltare in quel periodo, e quello fu uno dei primi momenti in cui tornai a respirare.

AGO. THE GASLIGHT ANTHEM – “Get Hurt”
            I Gaslight anthem cantano un mondo che delle volte mi pare quasi possa esistere solo nei film o in una campana di vetro, quel poco che riesca a resistere prima che venga frantumata dalla voce di Brian Fallon, calda e rauca quasi come quella di un altro cantautore americano del New Jersey a cui si ispirano “vagamente”. A ricordarmi che i Gaslight Anthem  siano il gruppo migliore in circolazione è stato il loro concerto di novembre, come prima cosa dicono che non avrebbero fatto “quella stupida cosa di uscire e poi rientrare, si perde il tempo per suonare un paio di canzoni in più”. Capaci di dipingere con chitarre basso e batteria un mondo nel quale ho costantemente vent’anni, fatto di macchine veloci, manoscritti, vinili, tramonti e ragazze sfrontate essi album dopo album continuano in qualche modo a raccontare il sogno americano, a modo loro. E anche se l’album non è il loro capolavoro, continuano a regalarmi pezzi di America con i quali tirare avanti nell’attesa, un giorno, di sbarcarci per davvero.

SET.  CHRISTOPHER OWENS – “A new testament”
            Per chi conosce i sottovalutatissimi Girls, Christopher Owens, dei quali è il leader, non è certo un novità, e vederlo tra i primi dieci album dell’anno non stupisce. E’ un album da domenica sera, da domenica sera di settembre soprattutto, e non è per me facile spiegarvi cosa intendo. Vi posso solo dire che come certi cibi vanno mangiati nel posto da dove provengono, A new testament andrebbe sentito sul lago quando scende la sera a settembre, solo così riuscirete a rubarne tutto il gusto, come un siero della nostalgia, e posso scommettere che molti di voi lo troverebbero piacevole, e forse alcuni, non lo escludo, potrebbero anche innamorarsene.

OTT.  CLOUD NOTHINGS – “Here and nowhere else”
            Senza tanti giri di parole, il miglior album straniero del 2014. La prima cosa che penso quando ascolto i Cloud Nothings è un esagerato senso di gratitudine che provo nei loro confronti. Echi del migliore post punk che abbiamo ascoltato negli ultimi anni, il tutto fuso e rimescolato in un album curatissimo in ogni particolare. Ideale per i freddi pomeriggi di Milano a sbattersi le palle tra tavole, modellini consegne e tutto le restanti rotture di coglioni. Ci sono stati giorni in cui è stato un casino farlo smettere di suonare. Un disco potente, che arriva direttamente come migliore erede di una stagione gloriosa della musica, a darmi un po’ di speranza per il fatto che possiamo ancora avere a 25 anni musica contemporanea come questa e non dover per forza aspettare qualche vecchio gruppo anni ’90 uscire con un nuovo album pregando il cielo che non abbia fatto una cazzata. I CN Sono a tanto così dal colpo grosso. Ascoltatelo quando siete incazzati, e poi dite solo grazie.

NOV. FAST ANIMALS AND SLOW KIDS – “Alaska”
            Senza tanti giri di parole, il miglior album italiano del 2014. I FAASK sono stati taglienti come una pugnalata nello stomaco nel servirci la cruda realtà di come delle volte il nostro animo si annodi su se stesso lasciandoci al gelo, indifesi. Il mio novembre non è stato freddo come quello in Alaska, ma poco ci è mancato. Si parla di un luogo, lontano e freddo, non reale ovviamente, che si cerca disperatamente e costantemente, libero di tutte le scorie che ci portiamo dietro, un foglio bianco come una distesa di neve dove riscostruire tutto come vogliamo, guidati solo dall’emozione della scoperta. Perché abbiamo tutte le nostre Alaska dove andiamo ogni tanto ad urlare finchè non finisce la voce. Questa è musica che nasce dalla pancia, ed esce fuori sbraitata ed urlata con tutta la forza di cui si dispone, liberandosi degli stretti schemi di una routine che talvolta non ci si ricorda quanto sia pesante e dannosa. Questa è musica vera, ed è musica da fissare con una puntina sulla bacheca di fronte al letto. Questa è musica che ci ricorderemo per molto tempo. 

DIC.  NUDE BEACH – “77”
          Se il 28 di dicembre ci siamo trovati a pianificare le vacanze di questa estate, mi piace pensare che parte del merito vada ai Nude Beach e a quest’album che sa di quattro stracci buttati nel bagagliaio di una macchina precaria e di ragazze con i piedi fuori dal finestrino mentre guidi con il braccio fuori. Al di là dei clichè, i Nude Beach non li conoscevo, e sono stati una delle sorprese migliori di questo strano dicembre. Le vacanze poi le abbiamo messe giu, un po’ abbozzate e buttate lì, così come i propositi per il nuovo anno. E riascoltando “77” mi viene da pensare che forse conviene quasi congelare questo album fino all’inizio di agosto, per farlo risuonare direttamente nel lettore cd della macchina. 
Vi terrò aggiornati. 
Forse.


Con questo vi do appuntamento al 6 febbraio, con l'ultimo post di questo blog.